2018/02/21

World Trade Center: intervista all'agente dell'ATF Peter Forcelli

di Hammer. L'originale inglese è disponibile qui.

Undicisettembre continua il proprio impegno per preservare il ricordo dei tragici fatti dell'11/9. Oggi offriamo ai nostri lettori la testimonianza dell'agente dell'ATF Peter Forcelli che lavorava al World Trade Center 6 e che in seguito agli schianti aerei divenne uno dei primi soccorritori sulla scena.

Ringraziamo Peter Forcelli per la sua cortesia e disponibilità.


Undicisettembre: Puoi farci un racconto generale di cosa ti è successo l’11/9?

Peter Forcelli: Quella mattina stavo andando al lavoro in macchina come qualunque altro giorno e mentre guidavo successero due cose. A quel tempo vivevo in una città chiamata Yonkers, nello stato di New York, dove vivevano molti italiani. Mentre stavo guidando mia moglie mi chiamò al telefono per dirmi che stava guardando il telegiornale e che un aereo aveva colpito il World Trade center, continuai a guidare perché stavo andando lì in ogni caso ma nella mia testa pensavo che forse un piccolo aereo aveva colpito il World Trade Center. Lavoro per l’ATF e i nostri uffici erano al World Trade Center 6.

Poco dopo mia moglie, mi chiamò anche il mio capo sul cellulare e mi disse "Hey, devi venire qui velocemente perché un aereo ha colpito il World Trade Center." Continuai a guidare e inserii le luci e la sirena, arrivai lì in circa un'ora e mezza e per la prima volta trovai un parcheggio molto velocemente dietro al World Trade Center 7. Scesi dalla macchina e camminai verso la scena e la prima cosa che vidi mentre camminavo verso Vesey Street fu un motore di aereo. Guardai in alto verso il palazzo e si vedeva un buco enorme e fu molto chiaro che era un aereo grande, come un aereo commerciale e il fumo usciva dal buco.

Mi guardai in giro, c'erano molti poliziotti, molte persone di altre agenzie. Era opprimente. Ero stato un agente di polizia a New York per quindici anni prima dell’11/9 e avevo appena iniziato il mio lavoro all’ATF tre mesi prima, quindi avevo molta esperienza nelle forze dell’ordine ma la scena era opprimente, era come se non sapessimo da che parte cominciare. Vidi un ufficiale di polizia di nome John con cui avevo lavorato e iniziammo a mandare la gente via, verso nord, perché non sapevamo cosa altro fare. I soccorritori stavano ancora arrivando e a quel punto nessuno pensava che le torri sarebbero cadute.

Saltuariamente guardavo in alto e vedevo le persone intrappolate e mi preoccupavo per loro, sapevo che non potevo arrivare lì e nella mia mente pensavo che magari sarebbero state salvate dagli elicotteri perché nel 1993 quando il World Trade Center fu attaccato mi ricordo che gli elicotteri poterono arrivare fino al palazzo. Quindi mi preoccupai più delle persone che erano giù e di farle andare via, di portarle via in sicurezza dall'area e fare in modo che i pompieri e poliziotti potessero continuare il lavoro di soccorso.

Dopo quindici o venti minuti che ero lì il mio supervisore, che nell’ATF si chiama Agente Speciale Responsabile, mi prese e mi disse "Hey, ascolta, non abbiamo trovato tutte le nostre persone. Quindi puoi andare sul lato del World Trade Center a cercare le nostre persone e fare in modo che si raccolgano al numero 90 di Church Street?" Io e un altro agente che si chiamava Jason andammo là e iniziammo a cercare di vedere se potevamo trovare altre persone. A un certo punto ci fermammo; dall'altra parte della strada c'era un negozio che si chiamava Century 21, un grande magazzino che vendeva vestiti. Io e Jason ci fermammo per un secondo di fronte al Century 21 per prendere un po' di fiato e mentre eravamo lì proprio dall'altra parte della strada rispetto alla Torre Sud vidi un collega con cui avevo lavorato, un detective che si chiamava Steven Martinez, che piangeva perché sua moglie era nel palazzo e non la trovava. Non aveva idea di dove fosse ed era preoccupato, non facevano entrare nessuno e lui non indossava l'uniforme. Quindi stava cercando di trovarla, mi dispiaceva per lui e tentavo di consolarlo e a quel punto guardai dall'altra parte della strada e vidi sei ufficiali di polizia con cui avevo lavorato che entravano nella Torre Sud. Uno di loro guardò dall'altra parte della strada e vide me che indossavo un giubbotto dell’ATF, prese il suo giubbotto lo scosse e mi guardò come per dire "Perché indossi quello?" perché non sapeva che avevo lasciato la polizia di New York per andare a lavorare all’ATF. Alzai le mani come per dire "Hey, che ci vuoi fare?" perché ovviamente non avevo tempo di parlare. Lo guardai e vidi le altre persone entrare nel palazzo e all'improvviso iniziai a sentire un rumore che era come quello di un convoglio della metropolitana in arrivo. Fissavo quelle persone che entravano nel palazzo e Jason mi prese per il giubbotto e urlò “Corri!“

Guardai in alto e la Torre Sud stava crollando, corsi verso nord e mentre correvo fui colpito nel centro della schiena da qualcosa della dimensione di una palla da golf. Mi lanciai sotto una macchina per quanto mi era possibile perché non sono così magro, mi sembrò che durasse un minuto anche se in realtà furono pochi secondi e qualcosa cominciò a colpire la macchina e pensai "Morirò sotto a questa macchina, non posso stare qui." Mi alzai e a quel punto la nuvola di polvere aveva completamente avvolto l'area quindi non vedevo nulla e cercavo di camminare verso nord. Sentii una voce che diceva "Hey, vieni qui, vieni qui." ed entrai in un palazzo dove c'erano molte persone che dicevano alla gente nella strada di entrare perché penso avessero capito che la gente non vedeva nulla e non poteva respirare nella nuvola.


Il comandante dei detective della polizia di New York a quel tempo era un uomo di nome William Allee, non era simpatico, era un uomo dal pessimo carattere ma aveva molta esperienza, aveva visto molte cose nella sua carriera quindi lo rispettavo per questo. Quando entrai ero coperto di polvere e stavo tossendo orribilmente perché la polvere era molto spessa e mi era entrata negli occhi, mi sciacquai gli occhi perché un uomo mi accompagnò a una fontanella e William Allee che era lì in giro disse "Ok, che succede?" era infastidito perché non sapeva cos'era appena successo. lo guardai e gli dissi "La Torre Sud è crollata." era un uomo che aveva trent’anni di esperienza nella polizia, immagino, aveva visto omicidi e cose orribili nella sua carriera, mi guardò e la sua faccia divenne bianca. L'immagine di incredulità sulla sua faccia è scolpita nel mio cervello. Non è nemmeno uscito a vedere, non si vedeva nulla perché sembrava che fosse calata la notte da quanto era buio fuori.

Aspettammo che la nube si depositasse e a quel punto la Torre Nord era ancora in piedi, tornammo fuori per vedere se potevamo trovare qualcuno. Non era completamente chiaro ovviamente. Era strano perché uscimmo ma non trovammo nessuno che fosse ferito, perché le persone erano scappate dalla scena oppure erano morte. A questo punto molte delle persone uscite dalla Torre Nord si erano allontanate. Stavo ancora cercando di capire "Fammi vedere cosa posso fare." Prima che la Torre Sud crollasse saltuariamente si vedeva qualcuno che saltava giù dal palazzo ed era una cosa molto dura da vedere, a seconda che cadessero sul pavimento o sulle pensiline il suono era molto diverso: quando cadevano sul pavimento sembrava il suono di un uovo che si rompe, mentre quando cadevano sulle pensiline sembrava il suono di un tuono. Quando vedevi un corpo cadere ti preparavi come se qualcuno ti stesse tirando un pugno perché era una visione così difficile che quasi ti ritraevi come se stessi per prendere un pugno, primo per la paura di vedere qualcuno che si era suicidato lanciandosi da una finestra, secondo perché pensavi “Oh mio Dio che suono farà?“

Quando la Torre Nord era ancora in piedi le persone che erano fuori erano poliziotti e pompieri, quindi non persone che necessariamente avevano bisogno di soccorso se non magari acqua per lavarsi gli occhi. Quando la polvere cominciò a depositarsi si vedevano più persone che si lanciavano dalla Torre Nord e si lanciavano con più frequenza rispetto alla Torre Sud e ricordo di avere pensato "Perché queste persone si lanciano? É perché hanno perso la speranza o per via del calore? Cosa sta succedendo nelle loro teste?" Quindi sentimmo ancora lo stesso suono che sentii quando la Torre Sud venne giù e la nuvola di polvere e di nuovo mi nascosi. Di nuovo uscii a vedere se potevo trovare qualcuno che avesse bisogno di aiuto ed era ancora come la volta precedente, non c'erano feriti.

Poco dopo qualcuno mi disse di aver sentito alla radio che una delle mie colleghe che era incinta era intrappolata nella sua macchina, il suo nome era Kara. Quindi io e non è un altro agente, penso che fosse Bob Schmitt, andammo a cercarla, la trovammo e dovemmo trascinarla. Non era ferita, ma era in macchina ed era sopraffatta dalla situazione, dovemmo trasportarla al Lower Manhattan Hospital, che non era lontano. Quando arrivammo lì, fuori dall'ospedale c'erano barelle, medici e infermieri e non c'erano pazienti. Mi aspettavo di vedere gente che veniva curata e non c'era nessuno. Era molto duro da reggere emotivamente, perché c'erano professionisti dell'ospedale che aspettavano pazienti e mi fu chiaro a quel punto che le persone erano morte o scappate relativamente in buone condizioni. Mi fece sentire molto male perché capii quante persone erano intrappolate in quei palazzi e non sono potute uscire.

Tornammo sulla scena per vedere se potevamo aiutare, c'erano pompieri e poliziotti che non si trovavano, stavamo ancora cercando di capire cosa stava succedendo. Le persone dicevano che c'erano altri aerei dirottati. Ricordo di avere visto dei caccia militari che volavano intorno a Manhattan per difendere l'isola. Un po' di tempo dopo il World Trade Center 7 crollò.

Rimanemmo lì per due giorni di seguito cercando di capire se potevamo trovare i poliziotti e i pompieri che erano scomparsi. Scavammo in giro come era possibile a mani nude perché non c'era equipaggiamento a quel punto, non avevamo i respiratori perché nessuno si aspettava che sarebbe successo questo. Non salvammo nessuno per i primi due giorni, il terzo giorno tornai a casa e fu molto emozionante. Quando le torri crollarono distrussero le celle che facevano funzionare i cellulari nella parte sud di Manhattan, quindi mia moglie non sapeva nemmeno che io ero vivo. Quando arrivai a casa tre giorni dopo mia moglie pensava che io fossi morto nei crolli, mandò sua madre a prendere i bambini a scuola e aspettavano che arrivasse un cappellano della polizia a bussare alla loro porta per dire che ero morto.

I miei figli stavano andando a scuola tre giorni dopo quando arrivai e fu molto emozionante, anche l'uomo del camion delle poste venne ad abbracciarmi, non so chi fosse non l'avevo mai incontrato prima ma mi vide uscire dalla macchina in uniforme e ricoperto di polvere e capì da dove arrivavo. Mi abbracciò e dovetti spingerlo via per poter andare da mia moglie ed ai miei figli ad abbracciarli.


Undicisettembre: Prima di entrare nei dettagli, mi puoi spiegare cos’è l’ATF? Non conosco questa agenzia.

Peter Forcelli: E parte del Dipartimento di Giustizia e fa rispettare le leggi sull'alcol, sul tabacco e sulle armi da fuoco negli Stati Uniti, ci occupiamo anche di far rispettare le leggi sugli esplosivi anche se non c'è un iniziale nella sigla per questo. La mia agenzia fu fondata quando l'alcol era proibito, iniziò l’attività quando le persone producevano alcolici illegalmente. É più o meno come l’FBI ma la nostra sfera di competenza è limitata all'alcol, al tabacco e alle armi da fuoco.


Undicisettembre: Quanto tempo sei rimasto a Ground Zero dopo l’11/9?

Peter Forcelli: Tre giorni consecutivamente a tempo pieno, riposavo solo brevemente quando potevo. Dopo di ciò quattro giorni a settimana, se non cinque giorni a settimana, fino a novembre. Dopo ci mandarono a lavorare in una discarica a Staten Island e fu un lavoro nauseante. Da Ground Zero mandavano rottami a Staten Island dove usavano un macchinario per livellarli e dovevamo rastrellare nel macchinario per cercare parti di corpi, gioielli o qualunque cosa che potessimo dare indietro alle famiglie per identificare le persone. Fu nauseante perché prendevano pezzi piccoli e li mettevano sui nastri trasportatori e mentre il nastro trasportatore ti passava accanto avevi un tasto da premere se vedevi qualcosa che sembrava un pezzo di corpo o un gioiello o un documento di identità. Vedere queste cose che passavano accanto fu difficile per gli occhi, ma fu molto importante. Ho fatto questo fino a marzo del 2002.


Undicisettembre: Cosa è successo a te, o alla squadra con cui hai lavorato, mentre eravate a Ground Zero dall’11/9 fino a quando te ne sei andato a novembre?

Peter Forcelli: Abbiamo fatto il meglio che potevamo, il nostro spirito non era felice perché avevamo perso così tanti colleghi ma era come se fosse un dovere essere lì. Ricordo un giorno verso la fine del periodo che passai a Staten Island ero in piedi alla discarica e c'era un poliziotto con un uniforme del North Carolina, e gli dissi "Ehi che fai qui? Siamo in marzo adesso." Mi rispose "Mio figlio nacque il 12 di settembre e come americano ho voluto venire qui, ho sentito la necessità di venire ad aiutare." Quindi quest'uomo sei mesi dopo si sentì in obbligo di venire ad aiutare e fu una cosa toccante. Fu lo stesso per noi, a Ground Zero scavavamo per molte molte ore ed eravamo esausti.

Quando guidavi verso nord sulla West Side Highway c'era un’area dove non lasciavano passare nessuno a meno che fossi nelle forze dell’ordine, un medico o militare, e c'erano centinaia di persone che stavano lì in piedi ad applaudire. C'era un grande senso di apprezzamento per coloro che lavoravano laggiù. Avevo lavorato nelle forze dell’ordine per quindici anni a quel tempo e di solito a New York non sentivi quel senso di apprezzamento, nessuno ti ringraziava perché facevi il tuo lavoro. Dava molta motivazione per andare là a lavorare. Recentemente ho scoperto di avere un cancro ai polmoni e sono abbastanza sicuro che è causato dai giorni che ho passato là, ma tuttora non mi sono pentito di esserci andato.


Undicisettembre: L’11/9 come condiziona la tua vita quotidiana?

Peter Forcelli: Fino allo scorso settembre non sapevo di avere un cancro ai polmoni, mi sentivo bene ma è comunque qualcosa che ricordi, non è qualcosa che puoi dimenticare e talvolta vengono gli incubi. Voglio dire, amo il mio lavoro e questo mi ha aiutato a superarlo. Non lavoro più a New York in parte a causa dell’11/9. Ho lavorato a New York fino al 2007 e andare a Lower Manhattan in macchina era una cosa toccante e ci dovevo andare costantemente; c'erano momenti in cui andavo al lavoro ed era difficile perché mi ricordava quel giorno.

Ogni tanto qualcuno mi chiama per dirmi che qualcuno dei miei amici è morto a causa dell’11/9 e mi riporta indietro a quel giorno. Quindi provi a dimenticare le cose orribili e a ricordare le cose buone che sono successe come il modo in cui la gente si è unita e il senso di urgenza nell'aiutarsi vicendevolmente, ma non puoi mai dimenticare un evento di tale grandezza.


Undicisettembre: Cosa pensi delle teorie del complotto secondo cui l’11/9 è stato un autoattentato?

Peter Forcelli: Non credo che sia possibile, e ti dico perché, e molte persone non sanno questo: il quartier generale della CIA era in uno dei palazzi che furono distrutti. E so per certo che stavano cercando molti documenti, c'erano aree dove anche se io ero nelle forze dell’ordine non potevo andare a cercare, non lasciavano avvicinare. Se fosse stato un inside job perché non avrebbero dovuto permettere di farlo? Hanno perso molte cose che per loro erano importanti.

Non credo sia possibile che un governo qualunque faccia questo alle sue persone, e non sono un grande fan di molte cose che il nostro governo fa.


Undicisettembre: Quanto pensi che sia sicura la nazione oggi? Anche considerando gli attentati avvenuti dopo l’11/9, come quello alla maratona di Boston o il pipe bomber nel New Jersey?

Peter Forcelli: Penso che facciamo del nostro meglio e mi spezza il cuore vedere ciò che succede in altre nazioni in Europa o in Africa, ci sono persone a cui non piace l'occidente. Ci sono persone che vogliono che gli altri credano in ciò che loro credono e null'altro. A loro non piace che noi viviamo nella libertà e che possiamo sentire la musica e cose di questo tipo. Loro devono solo riuscire nel loro intento una volta ogni tanto, mentre i tutori della legge devono riuscire tutte le volte per evitare che queste cose succedano e non è possibile. Penso che vedremo il terrorismo ancora per un po'.


Undicisettembre: Pensi che la nazione viva ancora nella paura o ha recuperato la sua posizione mondiale?

Peter Forcelli: Un po’ di entrambe le cose. Credo che la maggior parte degli americani semplicemente viva la propria vita, molti americani hanno dimenticato l’11/9 e talvolta è una cosa buona, non avere paura, ma alle volte è negativo perché se non fai attenzione e non stai in guardia è molto semplice diventare una vittima.

Penso che tutto ciò che gli Stati Uniti facciano sia giusto? Beh, ovviamente no. Quando vedo le cose che succedono in Israele e in quelle zone penso che le persone dovrebbero provare ad andare d'accordo e a capirsi l'un l'altro, ma di nuovo ci sono alcune culture là fuori che non credono che dovremmo ascoltare musica o che le donne possano guidare o ottenere un’istruzione e ci sono persone a cui non piace che siamo alleati stretti di Israele.

Alle volte credo che gli Stati Uniti Dovrebbero farsi gli affari loro e preoccuparsi della propria politica, per questo non sono un politico.

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