2015/01/12

The Longest War di Peter Bergen

di Hammer

Nel gennaio del 2011 il giornalista della CNN Peter Bergen ha pubblicato il volume intitolato The Longest War: the Enduring Conflict Between America and Al-Qaeda dedicato alla cosiddetta guerra al terrorismo. Il testo, originariamente edito prima dell'uccisione di Osama bin Laden, è stato ampliato per la pubblicazione dell'edizione in brossura in modo da includere anche la morte del leader di al Qaeda. Lo scopo del volume è esplicitato dall'autore nell'introduzione: Bergen vuole mettere in luce gli errori strategici e di valutazione commessi dalle due fazioni durante il decennio intercorso dall'11/9 alla pubblicazione del libro. L'autore chiarisce che questo non sottintende che vi sia equivalenza a livello morale tra al Qaeda e gli USA, ciò nonostante la maggioranza delle critiche è rivolta proprio a questi ultimi.

All'inizio del volume l'autore spiega come la minaccia di al Qaeda verso gli Stati Uniti fosse molto chiara prima dell'11/9, ma fu sottovalutata dalle autorità, al punto che sia Clinton che Bush ridussero la spesa militare quasi rinunciando a stroncare l'organizzazione terroristica prima che potesse colpire sul suolo nazionale.

All'indomani degli attentati l'amministrazione Bush compì da subito errori a livello propagandistico, per esempio asserendo che l'odio di al Qaeda verso gli USA fosse dettato dalla libertà e dalla democrazia che gli Stati Uniti garantiscono ai propri cittadini e che sono parte fondamentale della cultura americana, mentre in realtà la causa era da ricercarsi della politica statunitense in Medio Oriente. Inoltre Bush accostò al Qaeda al Nazismo e anche questo paragone fu fin da principio ovviamente errato sia per le motivazioni che per la capacità bellica dei due movimenti. In ultimo l'autore sottolinea che la celebre frase di Bush "Either you are with us, or you are with the terrorists" (“o siete con noi, o siete con i terroristi”) fu particolarmente infelice e che se al contrario il Presidente avesse detto "If you are against the terrorists, then you are with us" (“se siete contro i terroristi, allora siete con noi”) avrebbe raccolto molto più consenso internazionale.

Anche Osama bin Laden nell'organizzare gli attacchi commise grossi errori di valutazione nel prevedere la magnitudine della risposta americana. Nelle sue intenzioni infatti c'era che gli USA si ritirassero dal Medio Oriente, ma l'effetto che ottenne fu la caduta del regime dei Talebani in Afghanistan, la distruzione di al Qaeda e l'aumento della presenza americana proprio nelle zone interessate.

L'autore dedica quindi un intero capitolo a descrivere gli errori commessi dai militari USA nella gestione della campagna di Tora Bora, sottolineando che se fossero stati impiegati più uomini a terra, anziché affidarsi ai bombardamenti aerei, probabilmente Osama sarebbe stato catturato o ucciso nel dicembre del 2001.

Le critiche di Bergen alla gestione statunitense della guerra al terrorismo proseguono nel capitolo successivo, dedicato al caso di Abu Omar, che dopo essere stato prelevato forzatamente a Milano fu consegnato a un paese, l'Egitto, che applica ancora la tortura nonostante le rassicurazioni in tal senso di Condoleezza Rice e del Presidente Bush. Non fu questo l'unico caso in cui gli USA utilizzarono la tortura; tra gli altri l'autore ricorda i detenuti nella prigione cubana di Guantanamo e Khalid Shaykh Muhammad: in entrambi i casi, stando a quanto scrive Bergen, la tortura non avrebbe portato nessuna informazione utile da parte dei prigionieri. L'autore ha tra l'altro trattato l'argomento dell'inutilità della tortura in un suo recente articolo pubblicato dalla CNN.

Bergen dedica quindi un'ampia sezione del libro a spiegare perché gli USA abbiano deciso di invadere l'Iraq sulla base di un presunto legame, di fatto inesistente, tra Saddam Hussein e al Qaeda. Il clamoroso errore sarebbe stato innescato da un rapporto steso dalla Professoressa Laurie Mylroie dell'università di Harvard e titolare di una cattedra anche al US Naval War College, secondo cui l'11/9 sarebbe parte di un gigantesco complotto contro gli Stati Uniti diretto da Saddam Hussein di cui facevano parte anche l'attentato contro il World Trade Center del 1993, gli attacchi contro le ambasciate in Kenya e Tanzania e quello contro la nave USS Cole. Il rapporto conteneva ovviamente informazioni gonfiate, ma visto il curriculum (fino ad allora impeccabile) della professoressa e il desiderio dei Repubblicani di rovesciare il regime di Saddam fu considerato valido e da esso nacque la decisione di intraprendere la Seconda Guerra del Golfo.

Bergen passa quindi a descrivere come siano migliorate le condizioni di vita in Afghanistan dopo la caduta dei Talebani: alla popolazione fu finalmente concesso di guardare la televisione, di sentire musica, di giocare per strada con degli aquiloni e agli uomini fu permesso di radersi la barba. Inoltre le prime elezioni tenute dopo la caduta dei Talebani furono un grande successo e videro finalmente anche le donne afghane esprimersi al voto. Nonostante il successo raggiunto e il favore della popolazione, gli Stati Uniti furono costretti a impiegare un numero di soldati inferiore alla necessità per via della contemporanea guerra in Iraq. Il processo di mantenere l'ordine fu quindi in parte delegato ad alcuni alleati locali che non garantirono il necessario presidio, consentendo al alcuni gruppi di Talebani di opporre resistenza.

L'autore dedica l'ultimo capitolo alla caccia a bin Laden, durata quasi dieci anni, in cui le autorità americane hanno commesso numerosi errori. A partire dalle migliaia di scatole di fiammiferi lanciate dagli aerei americani nel sud dell'Afghanistan recanti promesse di ricompense per chi fornisse informazioni utili alla ricerca di Osama. Ma le scritte erano in Dari, non in Pashtu che è di gran lunga più diffuso nella zona, e chiedeva che le informazioni venissero fornite per telefono a un numero fisso negli Stati Uniti o via email ma il novantotto percento degli Afghani non aveva una connessione a Internet e pochi di loro potevano permettersi una telefonata intercontinentale.

L'autore si domanda se fosse corretto ritenere che nel 2011 bin Laden fosse ancora vivo e la risposta è positiva. La principale evidenza del fatto che Osama fosse ancora in vita è data dai numerosi messaggi audio e video diffusi dal leader di al Qaeda negli anni, tutti opportunamente verificati dalle autorità americane tramite confronti con campioni della voce di Osama. Inoltre le dicerie sul fatto che fosse gravemente malato non hanno trovato conferma nelle sue apparizioni in video e sono probabilmente nate da esagerazioni sui racconti di Omar bin Laden secondo cui il padre soffriva di calcoli renali.

Bergen chiude il volume con la riflessione che la morte del leader Osama bin Laden ha inferto un colpo durissimo all'organizzazione terroristica da lui fondata, ponendo così le basi per la definitiva chiusura della guerra più lunga in cui gli USA siano stati coinvolti.

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